regia e adattamento Laura Sicignano
con Alessio Zirulia
scene Emanuele Conte, Luigi Ferrando
movimenti di scena Piera Pavanello
luci e sonorizzazione Luca Serra
costume Daniela De Blasio
attrezzeria ed elementi scenici Renza Tarantino
produzione in collaborazione con Teatro Cargo
Il finale di questo romanzo è tra i più struggenti della letteratura italiana. Ho scelto quindi di concentrare lo spettacolo sugli ultimi momenti del protagonista, il barone Cosimo Piovasco di Rondò. Quali potrebbero essere i suoi ricordi più vividi, alla fine della sua vita? Il barone non invecchia mai, ma si dice che negli ultimi anni sia impazzito. Dagli alberi “raccontava storie che da vere, raccontandole, diventavano inventate, e da inventate, vere”. Lo spettacolo ricompone liberamente le parole di Calvino, come il flusso della memoria di Cosimo, in un folle, libero disordine. Il protagonista fino all’ultimo è libero: pur limitando il proprio orizzonte al bosco, sperimenta con appassionata curiosità ogni possibilità dell’esistenza - amore, guerra, amicizia, caccia, politica, impegno, conoscenza - e il fallimento di tutto ciò - ma sempre in libertà. La favola picaresca di Calvino fa sì che la rivoluzione di Cosimo riesca: non scende mai a terra e realizza la sua utopia sugli alberi. Lungo tutta la vita, vola al di sopra delle cose umane, con la leggerezza che Calvino invoca in una delle Lezioni americane: “la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso”. La leggerezza è stata la linea scelta per affrontare l’interpretazione del personaggio di Cosimo, una sfidante prova d’attore per Alessio Zirulia, ironico, versatile, intenso, che scelgo come protagonista, come in un altro spettacolo, 6 anni fa, scommettendo sul suo giovane talento. Abbiamo lavorato con i collaboratori alla regia per rendere lo spettacolo un organismo coerente e vivo: con lo scenografo Emanuele Conte abbiamo inventato un bosco astratto, mentale, fatto di linee e pochissimi oggetti, quelli fondamentali. La prospettiva di Cosimo è capovolta da un atto ribelle: perciò ho scelto che la platea sia palcoscenico e viceversa. In questo spazio Cosimo si muove leggero come un codibugnolo, su una partitura sonora creata durante le prove da Luca Serra (anche light designer) a partire dal suggerimento registico di lavorare ad una liberissima reinterpretazione dell’Inverno di Vivaldi. Il corpo di Cosimo non può essere un corpo quotidiano, quindi con la coreografa Piera Pavanello, abbiamo esaltato l’espressività dell’attore nel suo agire in uno spazio differente, in perenne equilibrio precario. Cosimo sale sugli alberi per guardare la realtà da un punto di vista diverso. Calvino dichiara in un’intervista che la letteratura può insegnare a guardare la realtà in modo diverso. Alla fine Cosimo nel raccontare la sua vita, ne trova l’ordine e il senso. “E’ solo scrivendo che ogni cosa finisce per andare al suo posto”: il bosco è la scrittura stessa. Calvino nel 1957 pubblica Il barone rampante e La speculazione edilizia, ambientandoli negli stessi luoghi: possiamo vedere in queste due opere una Liguria come paesaggio ideale e favolistico versus una Liguria come paesaggio violato e reale. Calvino al termine del romanzo racconta che il bosco di Cosimo non esiste più: è forse un Eden immaginato, un parco giochi dove conservare la leggerezza dell’infanzia, la letteratura stessa.
La stessa morte di Cosimo è un volo leggero, un gioco di bambini. Anzi Cosimo non solo non invecchia, ma non può morire perché è il visionario, l’utopista, il disobbediente. L’epilogo del suo Progetto di Costituzione d’uno Stato ideale fondato sopra gli alberi, recita che: “fondato lo Stato perfetto in cima agli alberi e convinta tutta l’umanità a stabilirvisi e a vivere felice, scendeva ad abitare sulla terra rimasta deserta”.
Cosimo non muore.
Laura Sicignano