Tratto dal romanzo La Diva Julia
di William Somerset Maugham
Tradotto da Franco Salvatorelli e adattato per il teatro da Laura Sicignano
Regia di Laura Sicignano
Con Elisabetta Pozzi e Sara Cianfriglia
Scene di Laura Benzi
Costumi di Mariagrazia Bisio
Musiche originali di Matteo Spanò, Giacomo Gianetta
Luci di Tiziano Scali
Lo spettacolo è molto liberamente ispirato al romanzo La diva Julia di William Somerset Maugham, pubblicato per la prima volta nel 1937.
Julia Lambert, «la più grande attrice d’Inghilterra», come scrivono i giornali, sa decisamente irretire il suo pubblico: quello adorante che riempie le sale, quello che si lascia soggiogare da lei nella vita privata e infine noi, che seguiamo questo suo trionfante monologo. Julia ci sembra una Molly Bloom o una Beckettiana Winni di Giorni felici, forse ancora Petra Von Kant, o infine la protagonista de La Voce Umana. Julia è di continuo sul punto di cadere: in un matrimonio mediocre, in un amore con un insipido ragazzo che ha vent’anni meno di lei, nei trabocchetti tesi da debuttanti ansiose di rubarle la scena. Ma Julia è un’attrice nella vita come sul palco e sceglie benissimo il tono, il gesto, l’espressione. Dal suo camerino invaso di fiori, accompagnata da una devota ed enigmatica cameriera, Julia rievoca la sua vita: nel farlo è ironica e malinconica, entusiasta e depressa, cinica e ingenua, egocentrica e generosa, adorabile e detestabile. Dalle mille sfaccettature, Julia è vicina ai cinquanta, un momento difficile nella vita di una donna, specie se bella e di successo. Julia supera le avversità e si relaziona con gli altri, interpretando i personaggi che finora l’hanno resa un’attrice di successo. Questo fa sì che il personaggio rimanga vincente, nonostante le disavventure che la vita riserva alla persona. Pirandello? Forse, più semplicemente, la vittoria di Julia sta proprio nella capacità di mascherare la sua vera personalità. Guidata da pochi principi, quasi tutti appresi alla scuola di recitazione, è una donna apparentemente fragile, ma determinata nelle sue scelte e nelle sue passioni, trasgressiva, vendicativa e splendidamente coerente al suo personaggio, a costo di ferire la propria persona.
Note di regia
È una storia ambigua.
Dalla Treccani:
ambìguo agg. [dal lat. ambiguus, der. di ambigĕre «dubitare, essere indeciso»]. a. Di significato incerto, che può essere variamente interpretato; nella logica formale, in contrapp. a univoco, si dice di termine che suggerisce due o più significati differenti (anche equivoco).
b. Doppio, falso.
c. Che dà adito a sospetti di natura morale, equivoco.
Il bel romanzo di Maugham è stato un pretesto per un viaggio nella mente di una donna. La pagina è saltata per aria e sono uscite azioni, scontri, relazione, concretezza, sorprese, pause cariche di tensione, risate, sudore, squilibri, pelle nuda, lugubre amarezza, vita. Ognuna di noi ha messo un pezzo di sé per la costruzione della Diva, senza pudore, senza mezze misure.
Il pubblico spia come un voyeur il camerino della Diva. Quel luogo privato e intimo dove ciascuno di noi si rifugia quando deve rimettere insieme i pezzi. La Diva è a pezzi, ma deve andare in scena. Bisogna sempre andare in scena. È un dovere per la Diva e per ciascuno di noi. Quante volte? Infinite volte. Come le infinite recite di un repertorio di successo, che alla fine uccide la vitalità del teatro. Quante bugie bisogna raccontare al mondo e soprattutto a noi stessi per andare avanti? Una rete infinita in cui si resta intrappolati, perdendo il centro, l’orientamento, l’identità, dispersa nei mille personaggi che siamo chiamati ad interpretare. Quante maschere siamo costretti ad indossare ogni giorno? Sempre la stessa e infinite altre, per essere accettati, applauditi, amati, per non restare soli di fronte allo specchio del camerino che ci rimanda un’immagine di noi che non riconosciamo più.
Sì, è la storia di una Diva, dei suoi capricci, delle sue disillusioni, dei suoi amori e disamori, ma è soprattutto la storia di una crisi di identità, in cui una donna, convinta di essere giunta all’apice della sua vita, si vede crollare tutto intorno. Ogni relazione si polverizza così come il sé.
Accanto alla Diva resta solo la sua cameriera devota. Ma è davvero un’altra persona? O è la sua coscienza, il suo senso del dovere, del dover andare in scena, il suo implacabile super io che cerca di rimettere insieme i pezzi? Quel che ci salva dalla disperazione è il costume di scena, il belletto, gli infiniti mazzi di fiori che lastricano la via del successo, ma incorniciano anche la lapide di una persona crocifissa al proprio personaggio. Nel caso della Diva è Fedra. E lei si chiede come sia possibile che il pubblico ancora voglia Racine e si spelli le mani di fronte ad un teatro cimitero da cui lei stessa non riesce a liberarsi, che è la sua croce e il suo trionfo in saecula saeculorum. Non a caso è Fedra. La Diva è anche una Fedra borghese che inciampa in un amoretto troppo giovane, apparentemente piccante ed innocuo, che in realtà la fa cascare a pezzi. La Diva non si perde per lui, ma per ciò che lui rappresenta, in un continuo gioco di specchi e proiezioni. Lui rappresenta giovinezza, speranza, vita, ovvero quel che la Diva sta perdendo per sempre. Quanto è difficile invecchiare? Quanto è grande la distanza tra come ci vediamo e come siamo veramente? Quanto riusciamo a vedere veramente degli altri. O negli altri vediamo solo quel che riusciamo a proiettare? I nostri fantasmi, le nostre ossessioni, le nostre mancanze.
La Diva ha una vita piena di successi. Un marito perfetto (davvero?) Un amico impeccabile e generoso (sicura?). Un figlio non troppo invadente (incomprensibile). Un giovane spasimante (sincero?). Soprattutto il pubblico (senza dubbio). Non è mai sola. E invece no, la sua vita non è piena, è affollata. La sua capacità di controllare la propria maschera è perfetta: ha gli strumenti per essere una e centomila, anche nella vita e perciò manipolare pubblico e relazioni private con un gesto, uno sguardo. Perfetta padronanza di sé. Finché qualcosa si spezza. Il disco si incanta. E la Diva, nell’intimo del suo camerino, nel segreto della sua mente, si specchia in un’altra donna (esiste?) e va in pezzi. Chi manipola chi? Chi usa chi? Chi è chi? Vorrei che ogni spettatore, soprattutto ogni spettatrice, trovasse un pezzo di sé in questa Diva a pezzi, si specchiasse nel crollo di questa donna, che ha però la straordinaria forza di andare comunque in scena, perché questa finzione è più viva della realtà.
Laura Sicignano