Le zie

1999

Testo e regia di Laura Sicignano

Con Massimiliano Caretta, Riccardo Croci, Marco Pasquinucci, Maurizio Sguotti

Scene e costumi di Andrea Taddei

Musiche originali di Andrea Ceccon

Crediti

Per distinguerle le avevano numerate: Madame Prémière, Madame Seconde, Madame Troisième, Madame Dérniére. Le Zie, figlie femmine di Luigi XV partorite alla ricerca dell'erede maschio, vengono presto dimenticate nel buio della storia. La loro tragicommedia rivive in una notte, in una prigione giacobina, parlando, parlando per esorcizzare la paura e ripercorrere ancora una volta la vita avventurosa di Madame Du Barry, la loro nemica, simbolo della vita che le Zie non hanno mai vissuto. Si odiano profondamente, le sorelle, ma sono le quattro fette di una stessa mela, ferme ad ammuffire nella noia. E mentre le Zie stanno a guardare, la Du Barry, ultima splendida amante del Re loro padre, si porta allegramente di letto in letto, per raggiungere l¹ambita alcova reale.
Settecento, secolo di artifici e secolo di razionalità dietro alla quale si nascondono mostri, secolo di trucchi, leziosità e cerimoniali che celano atroci giochi di potere: da questo artificio non poteva che nascere uno spettacolo en travesti (ricordando Le Serve di Genet, Copi, un discorso sulla femminilità mancata come aspirazione a volere essere ciò che non si è). Quattro uomini che recitano il ruolo di quattro donne, che a loro volta recitano un teatrino di finzioni, che si riflette su se stesso in un gioco di specchi dove alla fine tutti restano abbagliati. Non è feroce la sottile crudeltà di queste continue mascherate? Una ferocia che non si manifesta con secchiate di sangue in faccia al pubblico, ma con punture avvelenate d¹ago da cucito, dissimulate nel gusto documentario e nostalgico di un’epoca che si sgretola: le feste a corte, i banchetti, un gusto decadente e kitch. Si disegna una lingua piena di rime e versi, parole buffe, arcaiche, inventate, e tante allusioni erotiche. La rigida struttura linguistica è come uno stretto costume settecentesco: la scena segue perfettamente questo principio, imponente e rigida come un mausoleo, scena e costume al tempo stesso, teatrini e altarini di un tempo che crolla, ma ricchissimi di fregi e stucchi acidamente verdi, rococò, ma straniati, allucinatori.
De Sade, Molière, Laclos, saggi dell¹epoca, Cartesio, Hobbes, filosofi dei Lumi, cronache scandalose, l’Apocalisse, biografie: tutto si impasta nell’acida storia di quattro zitelle. L’ultima prigione delle Zie si trasforma allora in un bizzarro teatrino da camera che rappresentano a loro stesse, progettando terribili vendette che non attueranno mai, chiamando una serva che non arriverà mai, sognando un futuro che non le comprenderà mai, sedute sui loro troni, bardate da colossali parrucche. Ma sopra il frivolo chiacchiericcio, sopra le petulanti scenette, sopra le canzonette piccanti e i pettegolezzi al vetriolo, incombe l¹ombra nera della ghigliottina e di una Storia che cancellerà ogni cosa.

“Quel che accadrà domani, quando noi non ci saremo più, sarà una sfera grande, bianchissima, costruita da uomini nuovi, una sfera simile alla luna, gonfia d’aria, la vedete? È là al centro di un prato; vi accenderanno di sotto un fuoco degli uomini giovani, con una febbre sconosciuta. Là, piccoli come formiche e come formiche forti e laboriosi, si affaccenderanno domani intorno alla grande luna. Guardate! Hanno preso i nostri poveri resti e li hanno accatastati su una pira. Una scintilla ed è il fuoco. Guardate sorelle, bruciamo. Dalle nostre carni esce un fumo profumato e potente, che alimenta la grande sfera, così giungerà al cielo. Ora tagliano le funi d’àncora, a forza la trattengono per un attimo ancora a terra, ora ondeggia, tentenna e poi … si solleva piano.
Allora la sfera si innalzerà, barcollando dolcemente nel cielo tra le risate degli uomini lassotto, felici e trionfanti di guardarla. Per un attimo saranno coperti dalla sua grande ombra, poi per un attimo resteranno accecati del sole, e la grande sfera volerà. E noi, sorelle, lo sapete? saremo lassù. Lassù volanti con il vento tra i radi capelli, con i nostri parasole, sedute in un cestello appeso sotto della palla volante, che chiameranno mongolfiera. Il vento ci arrosserà le guance, ci screpolerà le labbra. Qualcuna lancerà piccoli gridi di piacere e di paura, qualcuna tacerà guardando verso il sole, e ci alzeremo sopra il palazzo, che ci apparirà come nei disegni degli architetti nella sua implacabile geometria, ci volteremo a salutarlo, addio, addio, ma già sorvoleremo gli orti, i giardini, poi tutta la grande Francia. Tu mi indicherai i paesi e tu i fiumi che non abbiamo mai visti prima, ma tanto studiati sulle carte. Al tramonto, infine, ci accorgeremo di aver perso i vestiti nel volo, ma non avremo freddo né vergogna; giungeremo, allora, alle scaturigini del Nilo, dove bagnandoci ritroveremo la freschezza dei nostri incarnati. Perderemo i nostri nomi e nessuno saprà più niente di noi e noi di nessuno, e ci scioglieremo lontano in un deserto bianco e polveroso tra beduini in lontananza e cammelli. Poi il pallone volante ci depositerà stupite e silenziose in mezzo a un’oasi ombrosa. Ci placheremo allora nel nulla e nessuna traccia resterà di noi. Il pallone svanirà in un punto nel cielo, senza addii.”

Da LE ZIE

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