L’odissea dei ragazzi

2012

Un progetto di Laura Sicignano e Valentina Traverso

Con Sara Cianfriglia, Emmanuel, Kara, Pashupatti, Rahamathollah, Waheedullah, Shahzeb

Costumi Laura Benzi

Luci e fonica Federico Canibus

Musiche originali Enzo Monteverde

Assistente alla Regia Marta Caldon

Si ringraziano Luca Mazzella, Aldo Ottobrino

Crediti

Questi ragazzi, per lo più rifugiati politici, hanno tutti affrontato da soli viaggi difficilissimi da paesi lontani (Afganistan, Pakistan, Nigeria e Senegal) per raggiungere l’Italia.
Abbiamo lavorato insieme per circa un anno. Ne è nato uno spettacolo di forte impatto emotivo. Il filo conduttore è l’Odissea, grande racconto archetipico della cultura Mediterranea e viaggio avventuroso in cui i ragazzi hanno potuto riconoscere e raccontare il proprio viaggio personale.
Lo spettacolo parla di amore e di guerra, di speranza e di nostalgia, di madri e di amanti: avventure e sentimenti che questi ragazzi hanno in comune con Ulisse.
Lo spettacolo è una scoperta e uno scambio culturale: in scena ragazzi africani, pakistani e afghani hanno lavorato con un’attrice e una regista, donne adulte ed europee. Con la coscienza di una forte diversità, ma con l’intenzione di dare vita a un dialogo umano e costruttivo, si sono sperimentati nuovi linguaggi e nuovi codici di comunicazione. Non si è voluto trattare delle storie personali di questi ragazzi, per altro troppo dolorose, ma esse trapelano con grande potenza dai corpi e dagli sguardi dei protagonisti, comunicando un’inspiegabile fiducia nel futuro.

Note di regia

“Vivo in una giungla, dormo sulle spine”: l’ha detto Shahzeb, Pakistan, uno dei ragazzi di Odissea, quando ho chiesto a ciascuno di dirmi una frase in cui si riconoscesse. L’ha detta nella sua lingua, ovviamente. Erano da poco arrivati in Italia, dopo viaggi non raccontabili, minorenni, soli. Nessuno di loro era mai entrato in un teatro prima.
“Vi piace?” “Bello. A cosa serve?” Solo alcuni sapevano leggere e scrivere. Nessuno aveva voglia di parlare di se’. Nessuno sapeva cosa fosse l’Odissea. Il problema non è stato tanto linguistico. Abbiamo trovato presto un codice di espressioni, gesti, emozioni per capirci, anche perché il materiale su cui abbiamo lavorato è umano, comune a tutti. Guerra, nostalgia, amore, sensualità, padre, madre, figli, violenza, gruppo, gioco, diventare grandi.
Ognuno ha trovato nell’Odissea le storie della propria vita, identificandosi immediatamente ora in Ulisse, un viaggiatore abbastanza scaltro da salvarsi la pelle e pieno di malinconia; ora in Telemaco, un ragazzo in mezzo ad una Storia più grande di lui. Le poche frasi dello spettacolo derivano o dalla stessa Odissea o sono state dette dai ragazzi, durante i nostri incontri, in scena o fuori scena. Ci siamo incontrati in modo discontinuo, senza sapere dove saremmo arrivati, tra un guaio di uno e la borsa lavoro dell’altro, l’esame di terza media e le partite di calcetto; tra la diffidenza iniziale, diciamolo, l’ostilità reciproca, gli scontri culturali e la gestione di un’autorevolezza che non è scontata per un gruppo di adolescenti maschi, specie se la regista e l’attrice sono due donne adulte occidentali.
Uno mi prende una sigaretta dal pacchetto, gli dico: “Ehi, sei minorenne. E comunque me la chiedi per favore” e lui “Le donne sono come sigarette” “. Ma poi sento dire: “Lascio cadere un fiore e tu non lo raccogli”. Forse è una citazione di una poesia colta o di una canzone pop. E anche: “Dio è vita” o “Voglio mia madre!”, urlato dal palco.
E le discussioni sul razzismo e sul maschilismo, mentre facevamo merenda sdraiati sul palco, raccontando delle donne al loro Paese e dei griot, delle bombe e del mare, del freddo di campagna e delle cittá, del meglio di Bollywood e della top ten afghana, se sia meglio il criquet o il foot ball. Tutto questo è entrato nello spettacolo. Ma alla fine. Il primo giorno qualcuno si è nascosto sotto il palco. Qualcuno ha dato pugni alle sedie. Qualcuno, a cui ho dato la mano, me l’ha stritolata, per sfida. Facile parlare di integrazione. Cosa diversa è metterla in atto. Quando si improvvisa davvero, suonando le corde del proprio vissuto emotivo, il rischio è di perdere il controllo.
Il teatro insegna a conoscere e gestire le proprie emozioni, anche quelle più violente o pericolose. Il teatro è un gioco di squadra. Ma non è un gioco, è un lavoro. “Questo è il vostro primo contratto: siete in paga e dovete rispettare delle regole. La vostra forza, potenza e bellezza sarà il lavoro che offrirete al pubblico. ” Sarà uno spettacolo pieno di errori, ibrido ed eccessivo, non finito e vivo, perché così siamo noi, un gruppo mal assortito, impossibile e sbagliato, caotico e umorale, esperto di troppe cose del mondo e sconsideratamente fiducioso in un futuro che non ispira alcuna speranza.

Laura Sicignano

Grazie a Simona Binello, Fosca Pastorino, Fabio Amoretti, Walter Bielli, e tutti coloro che dalle Comunità Tangram e Samarcanda ci hanno sostenuto in questo progetto.
Grazie ai tutori, avvocati Pericu e Bet.
Grazie a Luca Mazzella per la consulenza musicale.
Grazie alla socia del Cargo Avvocato Valentina Traverso, tutore a titolo gratuito di molti ragazzi, che ha avuto l’idea di partire per questa Odissea

Sinossi
Rassegna stampa
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