Vivo in una giungla, dormo sulle spine

2017

Testo e regia di Laura Sicignano

Scritto in collaborazione con Shahzeb Iqbal

Con Amanda Sandrelli, Luchino Giordana e Alessio Zirulia

Scene e costumi di Stefania Battaglia

Luci Andrea Narese

Video e suono Luca Serra

Produzione Teatro CARGO / Il Teatro Delle Donne Centro Nazionale di Drammaturgia

 

VIVO IN UNA GIUNGLA, DORMO SULLE SPINE, scritto con Shahzeb Iqbal, vince il premio per la traduzione in Francia alla Maison Antoine Vitez, Paris, 2015; viene selezionato dal Alexandrinsky Theater per le “European Readings” nel 2015 a San Pietroburgo. E’ tradotto in russo e francese. E’ finalista al Premio Fratti, 2016. Vince il Primo Premio Inedito, 2016. E’ pubblicato in Francia nel 2021.

 

Crediti

Il testo è nato nell’ambito di un progetto del Teatro Cargo, iniziato nel 2011 con un gruppo di giovanissimi rifugiati giunti dai paesi più difficili di Asia e Africa. Questi giovani erano arrivati in Italia, dopo drammatici viaggi, fuggendo da guerre e persecuzioni. Laura Sicignano ha creato tre spettacoli scritti con loro, recitati con loro, accanto ad attori professionisti. Questa è l’ultima tappa di questo entusiasmante dialogo.

Realizzato grazie al contributo del Premio InediTO – Colline di Torino 2016, primo premio XV edizione sezione Testo Teatrale

VIVO IN UNA GIUNGLA, DORMO SULLE SPINE è un verso di un poema popolare pakistano. Il testo è basato sulle storie vere che un giovane rifugiato pakistano mi ha raccontato. Storie di fughe, di viaggi notturni, di migliaia di dollari, di kalashnikov, di abbandoni, di bambini costretti ad imparare troppe cose, troppo presto. Il testo ritrae Sher, il protagonista, appena arrivato in Italia, dopo una pericolosa fuga dal suo paese. Qui il giovane è accolto in una comunità per minorenni richiedenti asilo e affidato a Viviana, un’avvocatessa tutrice. La relazione tra il giovane e la sua tutrice, molto conflittuale all’inizio, si trasforma gradualmente in profondo affetto. Quanto l’affetto di Sher verso Viviana è sincero e quanto egli la sta invece manipolando? Una donna adulta, colta, emancipata incontra un ragazzo analfabeta, forse un delinquente o un terrorista, che ha visto troppe cose nella vita, capace di mentire – e chissà cos’altro – per salvarsi la pelle. Perché questa donna arriva ad accogliere in casa propria il ragazzo, rischiando di compromettere la propria immagine e la propria relazione sentimentale? Chi sta manipolando chi? Chi ha più bisogno dell’altro? Sher racconta la sua fuga attraverso Pakistan, Iran,Turchia e Grecia, con un’organizzazione di trafficanti, ma il motivo per cui è scappato continua a rimanere un mistero: il ragazzo si protegge da un ambiente nuovo e ostile, nascondendosi dietro una fitta rete di bugie. L’arrivo dello “straniero” scardina il fragile equilibrio della vita di Viviana, mette in discussione le sue certezze e fa emergere ipocrisie che finora la donna non ha voluto vedere. La relazione tra i personaggi è un incontro tra solitudini, dove la verità emerge solo a frammenti. Il dialogo tra culture così diverse è impossibile? Affrontare la diversità fa paura, ma è inevitabile e rappresenta la difficile prova per comprendere davvero noi stessi.

 

Note di regia

Sher, il personaggio dello spettacolo, esiste. E’ un giovane pakistano che vive e lavora in Italia, uno dei tanti stranieri che ignoriamo, temiamo, sfruttiamo. Nessuno – oggi che è un adulto dietro al banco di un bar – si domanda quale sia stata la sua infanzia, il viaggio che lo ha portato qui, le lacerazioni di un ragazzino in fuga dal proprio paese, da solo, in mano a trafficanti che lo condussero attraverso mezzo mondo, fino ad una destinazione ignota. Sher oggi si direbbe “perfettamente integrato”. Sa gestire la kafkiana e costosa burocrazia che affligge gli stranieri, sa accontentarsi, rispetta i nostri usi, veste all’europea. Quando l’ho conosciuto era un ragazzo arrabbiato, diffidente e bugiardo. Era alloggiato in una comunità per minori richiedenti asilo insieme ad una banda di altri “scappati di casa”, che gli assistenti sociali hanno spedito a teatro, credendo nel suo potere salvifico o quanto meno sperando che qualcuno dei pestiferi giovanotti arrivati da Asia e Africa con un carico di problemi enormi, potesse dimenticarsene per un po’.
Allora, nel 2011, quando il problema non rappresentava L’Emergenza e tanto meno La Notizia, il Cargo ha iniziato un lavoro paziente, appassionato e un po’ folle con questo gruppo, creatosi spontaneamente, di minori richiedenti asilo. Con loro il Cargo ha creato 4 spettacoli professionali (retribuiti) che hanno avuto una bella tournée e un percorso di crescita umana e un dialogo tra culture, generi e generazioni che tutti noi, teatranti e stranieri, ricorderemo come una tappa della nostra vita.
Le storie che ho ascoltato in un italiano via via meno elementare sono storie antiche, le storie del miei nonni, storie archetipiche e mitologiche di viaggi intercontinentali a piedi, di abbandoni, faide, guerre, vendette. Visioni arcaiche del mondo e della famiglia. Valori indiscutibili. Tutto questo stride con il minimalismo nevrotico delle nostre quotidianità occidentali. Il nostro relativismo, il crollo di ogni certezza valoriale, il pensiero debole, la fluidità dei generi, il nostro ripiegamento sui display.
Allora a questi ragazzi incapaci di scrivere, ma consapevoli del potere della scrittura, è apparsa chiara l’esigenza che io mi facessi tramite di testimonianza. Mi è stato chiesto di lasciare traccia del loro percorso. Quindi mi sono resa disponibile all’ascolto e alla scrittura e riscrittura di alcune loro biografie: in un percorso del narrare se’ stessi che ha avuto anche un sapore di auto analisi e quindi presa di coscienza della propria identità (e forse anche catarsi e liberazione). Loro si raccontavano, impadronendosi lentamente di una lingua nuova; io scrivevo, riflettendo sulle categorie di “noi e loro”, domandavo chiarimenti, approfondimenti, che li conducevano a fare luce su rimozioni e nodi emotivi. Il mio intento era solo poetico (e un po’ autoanalitico della nostra cultura che a confronto con le loro assume una luce e un’ombra diverse). Il loro intento era etico e privato: avevano chiaro che lasciare traccia di se’ attraverso la scrittura rappresentava un’occasione straordinaria di lavoro interiore, di pulizia da emozioni negative, di crescita, ma soprattutto di testimonianza in qualità protagonisti – altrimenti muti – di un fenomeno epocale. A volte questi narratori si sono fatti anche attori della propria storia, portando corpi e voci sul palco in un atto teatrale e poetico che non poteva che essere politico, pur non ponendosi come tale a priori. Ho fatto dei ritratti. Ancora una volta ho dato parola a chi non ne può avere. Ho cercato la poesia nella vita.
Infine, in questo ultimo spettacolo, in scena si trovano solo attori professionisti. Il narratore resta dietro il banco del bar, ma ha condiviso ogni singola parola del testo, a cui ha regalato vita, storie, psicologia, ironia. In scena con gli attori dovevamo cercare la semplicità e la concretezza delle relazioni in uno spazio astratto come un’opera d’arte islamica, non figurativa. Questo è uno spettacolo sulle infinite declinazioni della verità, sulle complesse, indefinibili possibilità dell’amore. Poi qualcuno dirà che è teatro politico. Nessun compiacimento è lecito agli attori, che sono consapevoli del rigore e del rispetto dovuto a storie vere e vive. Sono tutti sempre in scena: non possono distrarsi mai. Il ritmo deve essere serrato come la vita che ci travolge. Le relazioni sfuggenti e sfumate in molteplici stratificazioni, come nella complessità della vita. Viviana è una donna europea, emancipata (o no?), in carriera (o travolta dal lavoro?), anticonformista (o confusa?). Paolo è un uomo europeo, padrone dei propri sentimenti (o bloccato emotivamente?), sicuro di se’ (o incapace di accettare le proprie fragilità?), libero (o insicuro?). La loro relazione si intreccia alla vita lavorativa: lui gestisce una comunità per richiedenti asilo. Forse sperava di salvare il mondo: si trova a fare i conti con una meschina quotidianità che lo travolge. Lei, un’avvocata penalista che lavora con reati di stranieri, si lava la coscienza assistendo gratuitamente un gruppo di minori richiedenti asilo. Accogliere presenta un milione di contraddizioni. L’arrivo nelle loro vite di un giovane straniero fa deflagrare la quotidianità. Un elemento rivoluzionario che manda tutto a gambe all’aria: relazioni, abitudini, consuetudini. Il diverso costringe a ripensare il mondo e se’ stessi. E’ anche un dispositivo drammaturgico funzionale al rovesciamento della storia. Tesi, antitesi, sintesi. Quale sintesi si potrà ricostruire dopo l’arrivo di questo elemento diverso? Le vite di Viviana e Paolo esplodono e perdono pezzi: un’esplosione benefica che porta alla luce ipocrisie e compromessi. E tutto a causa di un ragazzino spaventato, bugiardo, in fuga. Che a sua volta sta compiendo un difficilissimo percorso di formazione e di crescita, catapultato in una cultura lontanissima dalla propria.
“Vivo in una giungla, dormo sulle spine”: non stiamo parlando solo di rifugiati. Stiamo parlando di noi, europei, uomini e donne, persi nella giungla di relazioni impossibili e migliaia di connessioni possibili; delle spine delle nostre nevrosi. Parliamo di persone che si cercano e non si trovano più, sebbene siano nella stessa città, mentre altre persone si sono perse in mezzo al mare. Persone a cui cade tutto di mano, che si trovano sole di notte con il frigo vuoto, a fumare cento sigarette, ammazzandosi di lavoro per essere protagoniste del proprio destino, pagando prezzi altissimi. Mentre altre persone di notte cercano di salvarsi la pelle dalla polizia che spara al confine tra Iran e Turchia. Viviana cerca la verità in una rete di menzogne. Paolo sfugge la verità. Lo straniero sa che la verità non funziona, sa che narrare mille storie come Shahrazād lo potrà aiutare a salvarsi. Tutti mentono per salvarsi. La verità poi si trova, ma solo in piccoli spiragli di sorrisi, in una sigaretta fumata alla finestra d’estate, in fugaci timide aperture del proprio fragile mondo. Abbiamo costruito una storia commovente perché umana, dove si ride anche, una storia privata che parla senza retorica di un fenomeno epocale. Sher ha assistito allo spettacolo in mezzo ad una platea gremita di europei, dove con i suoi amici stranieri, creava una zona anomala. Erano fieri di essere rappresentati: si sentivano di esistere in una società dove in genere sono invisibili, se non sgraditi. Mi hanno detto, dopo lo spettacolo: “Tutti siamo stranieri. Tutti siamo viaggiatori”

Laura Sicignano

Sinossi
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